Sia per i greci che per i latini, il fatto che i fiori si aprissero al mattino per richiudersi al tramonto, era considerato un simbolo di sottomissione e di dolore per la scomparsa del sole, questa credenza ha fatto si che la calendula sia stata associata nel corso dei secoli ai sentimenti di dolore, noia e pena.
Secondo la leggenda Adone, figlio di Mirra e Tia, venne cresciuto da Venere (Afrodite), poiché la madre (Mirra) era stata trasformata, dagli dei, in un albero, per punizione.
Venere, che vedeva il giovane crescere, rimaneva sempre più incantata dalla sua bellezza, tanto da suscitare le ire del marito, Marte, il quale decise di mandare contro al giovane un cinghiale, affinché lo ferisse mortalmente.
Adone venne ferito, ma Venere, per proteggerlo, lo fece nascondere all’interno di una cassa e lo affidò alle cure di Proserpina, la regina degli Inferi. Proserpina, però, incuriosita dal contenuto della cassa, decise un giorno di aprirla e, alla vista di Adone, s’innamorò anch’essa del bel giovane.
Qualche tempo dopo Venere chiese a Proserpina di restituirle la cassa, ma questa si rifiutò e Venere, irritata dal rifiuto, chiese aiuto a tutti gli dei dell’Olimpo.
Un giorno Zeus, stanco della disputa venutasi a creare tra le due dee, decise che il giovane Adone dovesse trascorrere una parte dell’anno con Venere, tra i vivi, e l’altra con Proserpina, tra i morti.
Nel momento del passaggio tra la morte e la vita, però, dalla ferita di Adone iniziò a fuoriuscire del sangue, che, toccando il terreno, fece crescere una pianta chiamata “adonis”, mentre dalle lacrime versate da Venere, nel momento in cui il giovane tornava negli inferi, si generò una pianta di calendula che, come Adone, sarebbe stata destinata a periodi di vita alternati a periodi di morte.
Nell’antica Grecia il dolore veniva rappresentato da un giovane che portava con sé una ghirlanda di calendule.