Il fiordaliso appartiene alla famiglia delle Asteraceae, è una pianta originaria dell’Europa meridionale, dell’America settentrionale e dell’Asia, nonostante abbia origini antichissime. Il nome botanico, “centaurea”, fu attribuito alla pianta da Linneo nel 1737, tale nome trova la genesi nella figura mitologica del centauro Chirone, creatura metà uomo e metà cavallo, caro amico del re degli dei, Zeus, e maestro di molte divinità. Secondo l’antica leggenda Chirone era il centauro a cui Zeus aveva donato l’immortalità, un giorno, però, venne colpito con una freccia avvelenata, ad una zampa, da Hercules. Chirone che non poteva morire, per via della sua immortalità, e non poteva più rimettersi in piedi, a causa del veleno che aveva in corpo, riuscì, dopo una lunghissima sofferenza grazie alle sue sconfinate conoscenze a guarire, sul finire della primavera, preparando un impacco di fiori di fiordaliso appena sbocciati. Esiste anche un’altra legenda, più storica che mitologica, riguardante il fiore di fiordaliso ed è legata allo stemma araldico del regno di Guglielmo I, re di Germania, vissuto al tempo di Napoleone. Narra la leggenda che Guglielmo I, fuggendo da una battaglia, giunse in un campo di grano, dove trovò sua madre che, per calmare i bambini che erano con lei, intrecciava piccoli mazzi di fiordalisi. Al suo ritorno a corte adottò, quindi, il fiordaliso come stemma. Secondo la tradizione popolare preparare distillati con i fiori di fiordaliso sarebbe un ottimo rimedio per le malattie degli occhi.
Una sua denominazione comune in diversi stati del mondo è cìano, dal greco κύανος kýanos,“tinta blu” ma anche, appunto, "fiordaliso", sebbene il termine sia in disuso o di impiego poetico.
Si narra che la dea Flora, innamorata di Cyanus, avendolo trovato morto in un campo pieno di fiordalisi, abbia voluto che i fiori prendessero il nome del suo amato.
Secondo la dottrina classica il fiordaliso guarisce dal morso venefico del serpente, nella simbologia medievale il fiore assume l’immagine di Gesù che ha sconfitto il demonio (serpente).
La fresia appartiene al genere delle Iridacee, è un fiore originario dell’Africa Meridionale, ma non si conosce quando e come il suo trasferimento sia avvenuto. Nel nostro paese questo stupendo fiore viene coltivato con particolare cura in alcune regioni come la Liguria, ma può essere trovato in molte zone come fiore spontaneo.
Un fiore criptico ed affascinante, che da sempre ha incantato le donne, la fresia è associata mentalmente alla nostalgia ed è il fiore associato alle persone nate sotto il segno del cancro.
Il suo significato nel linguaggio dei fiori è vario, perché è senza dubbio considerato il simbolo dell’amicizia duratura e dell’amore platonico, ma i suoi fiori così particolari lo hanno anche reso immagine del mistero. E’ sempre stato considerato così fin dall’antichità.
Il suo profumo fa venire la nostalgia della bella stagione ed anticipa la primavera. Si dice che sia capace di distrarre le persone nate sotto il segno del sagittario.
Si dice che se piantiamo delle fresie nel nostro giardino un mondo magico può aprirsi davanti ai nostri occhi: con essi possiamo infatti attirare verso di noi le fate, le ninfe, i fauni e gli elfi,avvicinandoci a questo mondo magico ed incantato.
Esiste una leggenda che parla di Antinea, nata dall’unione di esseri umani e creature del bosco e del suo compagno di giochi, il fauno Yhorus e di un viaggio alla scoperta del meraviglioso mondo delle foreste dei Fuochi di Giada.
Prima di partire per questo viaggio, Yhorus le regala una ghirlanda di fresie bianche, come simbolo della sua purezza d’animo e della forza della passione, augurandole di dissolvere, con la sua danza incantata, la tristezza e la malinconia di chi soffre.
Antinea partì, addentrandosi nella foresta del padre elfo, alla scoperta dei suoi poteri e le fresie rimasero per sempre un modo per ricordargli i luoghi in cui è cresciuta e la sua mamma umana.
Il garofano è menzionato nella letteratura greca di 2000 anni addietro. Il nome “dianthus”, gli venne dato dal botanico greco Theophrastus e deriva dai termini greci divino (dios) e fiore (anthos). Quindi, dianthus significa letteralmente “fiore degli dei”.
Alcuni studiosi ritengono che il nome garofano derivi da incoronazione o corona (ghirlanda di fiori), in quanto era uno dei fiori usati per le corone cerimoniali in Grecia. Altri pensano che il nome derivi dal latino “caro” (genitivo: carnis = carne), che si riferisce al colore originale del fiore, o incarnatio (incarnazione), che si riferisce all'incarnazione di Dio fatto carne.
Appartiene alla famiglia delle Caryophyllaceae, è molto diffuso in tutto il mondo ed essendo spontaneo in tutte le zone temperate la sua origine è generica ed incerta.
Esistono moltissime varietà di garofano e altrettanti ibridi dalle più disparate colorazioni alcune delle quali presentano screziature. Essendo presente in Europa da millenni il garofano è uno dei fiori più ricchi di storia e leggende, nella mitologia, per esempio, è il fiore sacro alla dea della caccia, Diana.
Secondo la leggenda si narra che un giovane pastore si innamorò follemente di Diana, che aveva, però, fatto il voto della verginità, questa dopo avergli dato delle false speranze d’amore lo abbandonò. Il giovane morì dalla disperazione poco tempo dopo e dalla lacrime che aveva versato per il suo amore nacquero i garofani bianchi. Anche nella tradizione cristiana sono presenti i garofani, si narra infatti che alla vista di Gesù in croce, la Madonna addolorata, in piedi, dinnanzi alla croce del figlio fece nascere nei punti dove le sue lacrime toccavano terra dei garofani bianchi.
La parola gelsomino deriva dal persiano “yasamin” con la sovrapposizione della parola “gelso”. Appartiene alla famiglia delle Oleaccee, dai fiori stellati bianchi o gialli e molto profumati. Comprende circa duecento specie arbustive. Il gelsomino più noto è lo jasminum officinale. Altra specie rinomata è lo jasminum umile.
Il gelsomino, originario del Malabar nelle Indie Orientali, fu importato nell'Europa dai navigatori spagnoli fra il 1524 ed il 1528. Ma in Italia sembra però che esistesse anche prima di quel tempo, e ne fa prova una figura di tal fiore ben disegnata e colorita che si trova nel Codice lasciatoci dal Rinio “Liber de Simplicibus”scritto nel 1415.
Il primo ad averne qualche esemplare fu Cosimo I de' Medici, detto il “gran diavolo”: si invaghì tanto di questo fiorellino, che volendo esserne l'unico possessore, proibì severamente ai suoi giardinieri di regalarne anche una sola pianta e di riprodurlo in molti esemplari. L'ordine granducale fu scrupolosamente rispettato per molti anni e chi sa per quanto tempo ancora il gelsomino sarebbe rimasto proprietà esclusiva dei Medici, se un caso fortuito non ne avesse agevolata la propagazione. Un giovane giardiniere, volendo presentare un ricco e gentil dono alla propria fidanzata nel giorno del suo onomastico, pensò di offrirle un ramoscello di gelsomino, e così fece. La giovane gradì moltissimo: dolente che un così bello e raro fiore dovesse avvizzire così presto, lo mise in terra per conservarlo fresco più lungamente. Ottenne più di quanto sperasse. Il gelsomino restò verde per tutto l'anno e nella seguente primavera gettò nuovi germogli e nuovi fiori. Assoggettato a miglior coltura si fece più robusto e diede rigogliosi polloni che costituirono altrettante piante.
Divenne il padre, se non di tutti, almeno i buona parte dei gelsomini che possediamo! Il ricavo della vendita di queste pianticelle fu tanto cospicuo, che i poveri amanti divennero ben presto sposi doviziosi e felici. Da quel tempo le giovinette toscane usarono portare nel dì delle nozze un mazzetto di gelsomini, in memoria di tale avvenimento.
In Toscana ancora oggi si dice che “ragazza degna di portare quel mazzolino è ricca abbastanza per fare la fortuna del marito”.
La gerbera prende il suo nome dal naturalista Traugott Gerber e fu introdotta in Italia soltanto nei primi decenni del Novecento.
Appartiene alla famiglia delle Composite, è originaria del sud Africa e dell’Asia orientale.
La specie più diffusa è la gerbera jamesonii di origine sudafricana conosciuta popolarmente con il nome di margherita del transvaal, ma ne esistono circa 70 specie diverse.
Le specie spontanee, adatte ad esser piantate nelle aiuole e nei giardini, sono veramente poche, la maggior parte vengono appositamente coltivate per la produzione di fiori.
Spesso confusa con la margherita per la grande somiglianza fra i due fiori, è un fiore molto amato per i tanti colori e per la sua semplicità e bellezza. Assume diversi significati a seconda del colore dei fiori ma la sua forma trasmette sempre sentimenti vivaci e passionali.
Il suo periodo di fioritura inizia in primavera e si mantiene per gran parte dell’estate, i fiori sono di colore vivace e sgargiante e sanno ravvivare ogni ambiente, esistono gerbere di colore bianco, giallo, arancione, rosso, rosa, viola, monocromatiche oppure di doppio colore con il centro di tonalità più scura e l’esterno chiaro o viceversa, inoltre il tipo di fioritura può essere doppia o semplice.
Si è recentemente scoperto che da un punto di vista biologico sono estremamente benefiche per l’ambiente, in quanto sono in grado di svolgere un’azione depurativa dell’aria, hanno infatti la capacità di assorbire sostanze come il benzene e il tricloroetilene, e riescono tramite la loro traspirazione ad aumentare il tasso di umidità dell’aria.
Tutte queste qualità sono state scoperte solo negli ultimi decenni grazie agli studi effettuati dalla NASA, Agenzia Aerospaziale Americana.
Il nome di questo fiore deriva dal personaggio mitologico Giacinto ucciso da Apollo. Giacinto era figlio di Clio, la musa della Storia, ma piuttosto che seguire gli insegnamenti della madre, aveva preferito seguire le attività fisiche all’aria aperta, cosicché in giovane età si era distinto in molte gare e già vantava invidiabili primati: primo nella maratona di Argo e nella lotta libera, a Corinto con la gara del giavellotto, lanciandolo così lontano da strabiliare gli spettatori, compreso i giudici stessi. Certo, la vittoria di Corinto non era totalmente merito suo, poiché l’amico Zefiro aveva soffiato con violenza per allungare di molto la traiettoria del giavellotto. Giacinto veniva sempre incoraggiato e sostenuto dall’amico nei momenti di maggiore fatica, il vento lo avvolgeva e lo spingeva in avanti asciugando il sudore e alleggerendo la fatica fisica. Spesso Zefiro scomodava i fratelli per aiutarlo, e così anche Eolo soffiava alle spalle del beniamino impegnato a gareggiare.
Un giorno, il giovane incontrò per caso il possente Apollo, il quale decise di aiutarlo, dispensando generosi consigli, insegnandogli tutti i segreti del lancio; allora il giovanetto chiese cosa poteva fare per sdebitarsi con la divinità: «Onorami come merito», rispose Apollo. «Lo farò» rispose Giacinto. «Farò sacrifici solo al tuo altare».
In quel momento una folata di vento gli mosse i capelli: era Zefiro, un po’ ingelosito da quanto aveva sentito. Il suo amico non si era accorto, preso com’era dagli insegnamenti di Apollo, della presenza di Zefiro, che aveva soffiato sulle foglie secche, sollevandole spesso in aria con turbinii e folate di vento. Giacinto, nel frattempo, continuava ad esercitarsi ascoltando i consigli preziosi di Apollo e nel momento del lancio del disco la traiettoria del bronzo fu perfetta, finché Zefiro rabbioso, con il sostegno di cento altri venti, deviò il corso del disco, che curvò di scatto e come un bolide precipitò addosso a Giacinto colpendolo pesantemente alla testa. Il giovane stramazzò esanime, pallido e senza più parole.
Apollo vide il giovane riverso per terra e senza vita. Si sentiva in colpa, e invano tentò di rianimare lo sfortunato. Piangendo volse gli occhi alla vetta dell’Olimpo e pregò Zeus suo padre, di tramutare il corpo del giovane in un fiore, affinché la terrà si arricchisca ad ogni primavera di una nuova meraviglia profumata per sempre. Il generoso Zeus, ascoltò la preghiera e da quel giorno, ogni anno fiorisce il giacinto.
Quando Erode fece fare la Strage degli Innocenti e voleva uccidere Gesù, la Madonna e San Giuseppe fuggirono in Egitto.
Una notte durante il viaggio, reso aspro dalla neve, la Madonna chiese ad una ginestra riparo per il bambino.
La ginestra rifiutò seccamente, anzi drizzò i propri rami ancora più in alto, così che i viandanti non si potessero riparare.
Allora il sacro trio riprese il cammino, mentre i soldati di Erode si facevano sempre più vicini.
Tutti gli alberi si rifiutavano, perché avevano paura che i soldati dessero loro fuoco, per aver offerto riparo ai viaggiatori ricercati.
Infine la Madonna si rivolse disperata a un ginepro: «Per pietà, permetti che ci ripariamo sotto i tuoi rami: abbiamo freddo ed i soldati di re Erode si avvicinano, se ci trovano uccideranno il bambino».
«Venite! Venite pure, ci penserò io», rispose il ginepro. E per proteggerli rese le sue foglie così ispide e pungenti che i soldati non le toccarono e Gesù fu salvo e la ginestra condannata a strisciare sulla collina.
Secondo un racconto siciliano la ginestra è una pianta maledetta dal Cristo, perché fece rumore quando lui stava pregando nel giardino di Getsemani attirando così i soldati.
Il Signore la castigò dicendole: «Tu farai sempre rumore quando brucerai!».
Citati diverse volte da poeti e scrittori nostrani (il caso più famoso è quello di Giacomo Leopardi), i fiori di ginestra possono essere coltivati senza problemi in appartamento.
Pianta caratterizzata da numerose varietà, diffuse nell’intera zona mediterranea, la ginestra ha fiori gialli particolarmente profumati e richiede, per crescere, un luogo piuttosto soleggiato ed un clima secco e caldo.
Le ginestre erano piante assai gradite dagli antichi popoli romani e greci, coltivate soprattutto con l'intenzione di attirare le api, al fine di ricavarne un ottimo miele.
Con il termine ginestra si indica un gruppo di piante cespugliose che, con i fiori gialli, decorano paesaggi brulli e, nel contempo, emanano fragranze profumate particolarmente intense nell'ambiente circostante.
Nella mitologia greca si racconta come una ninfa di nome Clizia, si fosse perdutamente innamorata del dio del sole Apollo ed ogni giorno non facesse altro che guardare il suo carro di fuoco volare nel cielo.
Apollo, dapprima fu lusingato ed un pochino intenerito da quella devozione, pensò d’esserne a sua volta innamorato e decise di sedurla cosa non difficile per lui, ma ben presto si stancò dell'amore di Clizia e le diede il benservito rivolgendo altrove le sue attenzioni. La povera ninfa pianse ininterrottamente per nove giorni interi. Immobile in mezzo ad un campo, osservava il suo amore attraversare il cielo sul suo carro di fuoco. Così, pian piano, il suo corpo si irrigidì, trasformandosi in uno stelo sottile ma resistente, i suoi piedi si conficcarono nella terra mentre i suoi capelli diventarono una gialla corolla: si era trasformata in un fiore bellissimo color dell'oro, il girasole! Ma anche nella sua nuova forma la piccola ninfa innamorata continua tuttora a seguire il suo amore durante il giro nel cielo.
Per questo motivo la parola girasole esisteva già molto tempo prima che l'heliantus annuus venisse portato in Europa ed è evidente che il mito sopracitato (menzionato ne “Le Metamorfosi”di Ovidio), si riferisca più propriamente all'eliotropio.
Il nome generico helianthus, deriva da due parole greche“helios”(sole) e “anthos”(fiore), in riferimento alla tendenza di questa pianta a girare sempre il capolinoverso il sole, comportamento noto come eliotropismo. Il nome specifico annuus indica il tipo di ciclo biologico (annuale).
Anche il nome comune italiano girasole deriva dalla rotazione in direzione del sole. Il termine girasole è anche usato per indicare le altre piante appartenenti al genere Helianthus, molte delle quali sono perenni.
In antichità i girasoli erano i fiori che rappresentavano proprio il dio Sole presso le popolazioni indigene. Impossibile infatti non pensare al sole con i suoi petali gialli!
Proprio questa affinità del fiore con il sole, fa sì che al girasole venga associato un significato allegro e spensierato, in grado di infondere gioia ed allegria ma è anche simbolo di amore!
Il nome gladiolus fu attribuito da Plinio il Vecchio e deriva dal termine latino “gladiolum”, che significa “piccola spada”, dovuto alla forma delle foglie che, essendo sottili ed allungate, assomigliano alle spade corte usate dall’esercito romano che, al tempo dei romani, venivano chiamate “gladio”.
E’per questo che il fiore di gladiolo simboleggia la sfida amorosa, la lotta per la conquista, nonché l'amore ferito. Il fiore può anche simboleggiare l'infatuazione, poiché la sua forma a spada, fa pensare al cuore trafitto di chi dona il fiore.
Il gladiolo è una pianta conosciuta sin dall’antichità che per secoli fu mantenuta allo stato spontaneo e veniva adoperata dalle giovani donne come ornamento, per i capelli e per le vesti. Tradizionalmente si usava durante le cerimonie di nozze, le amiche della sposa, infatti, ponevano sulla loro testa una corona di fiori di gladiolo in segno di gioia per la felicità dell’amica e, contemporaneamente, la corona rappresentava anche il senso di tristezza per la separazione dall’amica stessa.
Solo a partire dalla metà dell’Ottocento il fiore iniziò ad esser preso in considerazione dai botanici, che incominciarono a creare bellissimi ibridi dagli splendidi colori.
I gladioli sono tra le bulbose più apprezzate per il loro fiore reciso. Originari del Mediterraneo e dell'Africa, nell'arco dei decenni i gladioli sono stati ibridati e selezionati fino ad ottenere fiori di qualsiasi colore, dal bianco candido al giallo oro, dal lilla al viola, dall'azzurro al blu intenso, comprendendo anche fiori maculati o striati. Quelli che vengono coltivati nei nostri giardini, o che troviamo dal fiorista, sono tutte varietà ibride, che hanno origine dall'incrocio di alcune specie i origine africana. In Italia esistono allo stato naturale meno di una decina di specie, diffuse soprattutto nelle regioni costiere. I gladioli da giardino producono lunghe foglie nastriformi, appiattite, leggermente carnose e coriacee, erette, lunghe dai 25-35 centimetri delle varietà nane, fino ai 100-120 centimetri delle varietà più grandi. In primavera inoltrata al centro delle foglie si sviluppa un alto fusto carnoso, che porta una lunga spiga di grandi fiori variamente colorati, che sbocciano a partire dalla parte bassa della spiga.
Il glicine fu importato in Europa, più precisamente in Inghilterra, nel 1816 da un capitano inglese, Robert Welbank, su di un carico mercantile della flotta della compagnia delle indie orientali.
Il glicine, però, non venne immediatamente tenuto in considerazione dai botanici inglesi e si dovettero attendere un paio di anni prima che “la vite blu” importata da Cina e Giappone spopolasse tra i giardini europei.
Dei primi esemplari importati vive ancora oggi una pianta che è la pianta più vecchia di glicine esistente in Europa, si trova al Kew Gardens di Londra ed è anche la pianta di glicine più grande e spettacolare che esista al mondo.
Il glicine è accompagnato da molte storie, soprattutto di origine cinese e giapponese, sul suo uso simbolico.
Si narra che gli imperatori giapponesi, durante i loro lunghi viaggi di rappresentanza in terre straniere, portassero con sé dei piccoli bonsai di glicine, affinché giungendo alla corte di altre dinastie alcuni uomini, della scorta dell’imperatore, potessero portare in dono i piccoli alberelli in segno di amicizia e benevolenza da parte dell’imperatore nei confronti degli abitanti delle terre su cui erano giunti.
Una leggenda italiana ne narra l’origine, secondo la tradizione piemontese, infatti,una giovane pastorella di nome Glicine, piangeva e si disperava per via del suo aspetto, che la faceva sentire brutta ed inferiore rispetto ad altre giovani del suo paesino. Un giorno al massimo della sua disperazione iniziò a piangere, da sola in mezzo ad un prato, quando ad un certo punto le sue lacrime diedero vita ad una meravigliosa pianta dalla fioritura stupenda e dall’inebriante profumo, il glicine. Circondata da magnifico profumo la ragazza si sentì orgogliosa e fiera di se stessa, per esser riuscita a creare quella pianta meravigliosa.
Questa pianta è il simbolo primaverile, la sensualità della giovinezza. E' considerata l'essenza astrale del segno dei pesci. Per le persone di questo segno sarebbe uno stimolo che riattiva il flusso delle idee. E' considerato un talismano contro le calamità, un filo magico che ispira le sensazioni più sublimi.