La gypsophila, più conosciuta con il nome di “velo da sposa”, o “nebbiolina”, è una pianta appartenente alla famiglia delle Caryophyllaceae. Originaria dell’Europa, dell’Asia e dell’America, è praticamente diffusa in tutto il mondo.
Il suo nome deriva dal greco e significa “amante del gesso” ed è probabilmente dovuto al tipo di terreno calcareo necessario per la sua coltivazione.
Dietro ad un nome così altisonante si nasconde, però, un fiore semplice, gentile e lieve, tanto che in America viene chiamato baby's breath, cioè respiro di bambino.
E’ una pianta perenne di dimensioni piuttosto modeste, raggiunge al massimo i 75 centimetri di altezza, può per questo motivo esser tenuta sia in vaso che in giardino. Il suo aspetto è simile a quello di un cespuglio dalle piccole foglie, di colore grigio verdastro, di forma stretta e allungata.
Delicata ed aerea, la gypsophila ha steli sottili ricoperti di fiorellini dalla corolla semplice o doppia, tondeggianti e di colore bianco o, raramente, rosa.
Ci sono tante varietà di gypsophila: elegance, bristol fairy, bridal veil, snow fountain e garden bride (sposa del giardino). Le più recenti sono la new love, con fiori dal diametro di mezzo centimetro e la million stars, ricca di piccoli fiocchi bianchi, perfetta per tappezzare elementi decorativi dalla forma geometrica o per realizzazioni romantiche, ma molto moderne. Fiori più grandi sono, invece, adatti a festoni o a pouff, da collocare, magari, alla sommità di vasi.
Basta guardarla per capire qual è l'origine del suo fascino: la leggerezza.
Non stupisce che sia diventata interprete principale di allestimenti anche sontuosi. Basta da sola a creare cuscini vaporosi costellati di candide stelline, bordure e ghirlande lungo la navata o ai polsi delle damigelle.
Il risultato è insieme sobrio e curato, etereo e intrigante.
Lasciatevi sedurre dall'ingenua bellezza della gypsophila…

Il nome deriva dal greco e probabilmente fu assegnato da Dioscoride, noto medico dell'antichità, vissuto nel I secolo d.C.
In Polinesia, da sempre, l'ibisco è portato tra i capelli dalle ragazze; i ragazzi invece sono soliti appoggiarne un fiore sull'orecchio destro, se sono fidanzati, sull'orecchio sinistro, se sono “liberi”.
I suoi fiori sono delicati e leggerissimi e hanno una durata molto breve, di solito un giorno; per questo regalando l'ibisco si vuole esaltare la bellezza fulminea e fugace. Il linguaggio amoroso ottocentesco si è sbizzarrito su questo fiore: donarne uno all'amata significa “tu sei bella”, il siriaco a fiore bianco ne loda la lealtà e rosso la pazienza del corteggiatore, mentre i colori cangianti attestano un rifiuto. Il rosso sangue, inutile dirlo, è “ferita al cuore”
L’ibisco è anche il fiore nazionale delle isole Hawaii, nella sua versione gialla, ed è anche rappresentato negli emblemi ufficiali della Corea del sud, la quale, nell'inno nazionale, paragona l'immortalità del fiore a quella della patria. I cinque petali del fiore rappresentano le cinque qualità di: dovere, felicità, unità, pace e purezza. Nei paesi asiatici, come Cina e Giappone, l’ibisco è allegoria di femminilità, sessualità e calore. In Asia il fiore è comunemente regalato alla spose come simbolo di fertilità della coppia.
Durante l’epoca vittoriana, quando i fiori adornavano l’abbigliamento, le acconciature, le porcellane ed i gioielli, l’ibisco venne ad assumere il significato di incommensurabile bellezza. Quest’accezione derivava dalle condizioni climatiche in cui il fiore prosperava, richiamando alla mente temperature miti, giorni soleggiati e luoghi esotici da paradiso. Nel diciannovesimo secolo, quando il fiore d’ibisco veniva indossato da una ragazza nubile, voleva significarne la maturità sessuale e la sua disponibilità a contrarre matrimonio.
Oggi, quando l’ibisco viene utilizzato nelle composizioni, assume il significato di bellezza delicata e fragilità. In nord America, il fiore è noto come “rosa di Sharon ed è utilizzato dalle comunità evangeliche per simboleggiare la sposa perfetta: feconda, bella e pura. 

L’Iperico è detto anche erba di San Giovanni perché anticamente durante la vigilia veniva raccolto e infilato sotto la camicia insieme con altre erbe per proteggersi dagli influssi delle streghe.
Strofinando i petali tra le dita, si ottiene un succo rossastro detto per il suo colore “sangue di San Giovanni”.
Nei tempi antichi e per tutto il Medioevo si credeva che l’iperico avesse il potere di mettere in fuga gli inviati del diavolo, da qui il nome popolare di “scacciadiavoli”. Inoltre si prescriveva nelle malattie mentali che si pensava fossero di origine maligna: si appendeva un mazzetto d’iperico alla porta delle case e si dormiva con un ramoscello sotto il cuscino per allontanare il malocchio. Era molto usato, inoltre, per la cura di ferite di armi da taglio e per questo chiamato “erba militare” tanto che ai tempi degli antichi greci, delle crociate ed anche in quelli dello zar di Russia il suo olio veniva dato in dotazione all’esercito.
Secondo una leggenda, l’iperico sarebbe nato dalle gocce del sangue di Prometeo che volle regalare agli uomini una scintilla del sole, il fuoco (Prometeo fu punito da Giove per la sua arroganza ad un supplizio che si ripeteva ogni giorno).
Ma il fuoco sacro di Prometeo, simbolo della luce della mente che ci consente di pre-vedere l’inverno e di pro-gettare un focolare è un dono “avvelenato” per gli uomini: infatti siamo gli unici, tra gli animali, a sapere di morire, a pre-vedere la nostra morte.
L’iperico è una pianta capace di curare omeopaticamente la “sindrome di Prometeo”, una superbia sconfinata unita alla quotidiana tortura della propria fine.
Questa pianta è stata considerata nei secoli passati una sorta di bacchetta magica contro ogni specie di male: guariva dai morsi dei serpenti, dagli attacchi di epilessia, dalle ustioni; veniva usata nella medicazione delle ferite sanguinanti.
Ai nostri giorni si può utilizzare l’iperico per guarire da ferite più interiori, per dare più luce solare al nostro centro vitale, per scacciare paure e depressioni. I suoi benefici effetti gli hanno dato l’appellativo di “prozac vegetale”. 

L’iris è una pianta ricca di storia e simbolismi poiché da sempre è stata apprezzata in tutte le civiltà. Affreschi raffiguranti degli iris sono stati rinvenuti presso le mura del tempio di Amon a Karnak (l’antica Tebe) in Egitto, e nel giardino botanico del faraone Tuthmosis III (1516 -1426 a.C). Si narra che le prime specie di iris furono trasportate in Egitto dal faraone, dalla Siria.
Gli antichi greci identificavano l’iris con Iride la messaggera degli dei, ancella di Era, la quale era il tramite che consentiva agli uomini di ricevere i messaggi degli dei. Secondo la mitologia Iride per scendere tra gli uomini scivolava sull’arcobaleno (da qui la genesi del nome).
L’iris fu lo stemma di Clodoveo I (466 – 511) re dei Franchi Sali, secondo sovrano storicamente accertato della dinastia dei Merovingi, che lo fece raffigurare su bandiere, scudi, armature ed arazzi, dopo avere ricevuto questo fiore in sogno da un angelo, che gli era comparso per onorare l’evento della sua conversione al cristianesimo, avvenuta dopo la vittoria della battaglia di Tolbiac, nel quale il sovrano ed il suo esercito cacciarono gli alemanni dall’alto Reno, nel 496.
E’ noto che lo stemma della città di Firenze e di Luigi VII sia un giglio ma in realtà originariamente in entrambi i casi doveva trattarsi di un iris. Secondo numerosi dati storici, infatti, Luigi VII aveva deciso di inserire un iris nel suo stemma reale, per questo motivo però  il fiore fu chiamato fleur de Louis (fiore di Luigi), purtroppo la sua pronuncia è molto simile a fleur de lys che vuol dire giglio e, probabilmente per questa ragione, nel corso degli anni, i due nomi furono confusi e lo stemma di Luigi VII divenne il giglio. Stessa sorte accadde allo stemma della città di Firenze.
Nel 1954 a Firenze è stato creato il Giardino dell’Iris, al piazzale Michelangelo nato con lo scopo di dare ospitalità al concorso internazionale annuale per le migliori varietà di iris.
In campo artistico molte volte l’iris bianco ha preso il posto del giglio nelle pitture dedicate alla Madonna, è il caso ad esempio dell’Adorazione dei pastori, pannello centrale del Trittico Portinari (1477 – 1478, Hugo van der Goes).

Tra le numerose credenze e leggende legate alla lavanda, una delle più antiche è legata alla dea Venere ed ai riti magici dell’amore. Grazie al suo profumo, infatti, si credeva potesse attirare gli uomini e quindi essere perfetta per gli incantesimi d’amore. Ma non solo, era usata per garantire, oltre all’amore, anche felicità, protezione, purificazione e gioia. Da queste credenze nacque la tradizione popolare con la quale si pretendeva che per assicurare felicità e prosperità alla futura sposa, le spighe di lavanda dovessero essere messe all’interno del suo corredo.
Molto diffusa in Francia è la leggenda che associa la fata Lavandula alla nascita e diffusione della lavanda in tutta la Provenza: Una bellissima fata di nome Lavandula nata fra le lande selvagge della montagna di Lure, aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri. Lavandula, un giorno, si mise a cercare un bel posto dove andare a vivere e iniziò a sfogliare un libro di paesaggi. Ad un certo punto, si fermò sulla pagina della Provenza e cominciò a piangere alla vista delle povere terre aride e incolte. Ecco allora che tutte le sue lacrime caddero sulla pagina e finirono per macchiarla. Cercando di nascondere il danno fatto, la fata si asciugò i magnifici occhi blu ma provocò ancora più danni, spargendo le gocce di lacrime dappertutto sulla pagina. Disperata, la fata prese un grande pezzo di cielo blu sulla Provenza per dimenticare tutte le macchie. Da quel giorno, la lavanda cresce in quelle terre e le fanciulle bionde di Provenza hanno gli occhi blu con scintille color lavanda, soprattutto quando in estate, al calar della sera, si mettono a guardare il cielo che scende sui campi di lavanda in fiore.
Un’altra leggenda narra la storia di una ragazza così bella che faceva rimanere tutti senza respiro. Molti giovani la desideravano, tra questi, c'erano due balordi. Dal momento che non aveva intenzione di accettare il loro corteggiamento, decisero di costringerla a fare l’amore con loro. Un giorno la inseguirono fino alle colline, facendola cadere per terra.
Nel momento in cui le strapparono i vestiti, la ragazza presa dalla vergogna si girò verso terra e si mise a piangere. Improvvisamente, nel terreno dove le lacrime erano cadute, iniziarono a germogliare fiori blu e viola.

Il lilium, originario dell’oriente, è un genere di fiori di cui si conoscono 40 specie. Il più famoso è il lilium candidum che, nel linguaggio comune è detto giglio o anche giglio di Sant'Antonio, fiore bianco rappresentato insieme a questo Santo in moltissimi dipinti. Sono anche comuni presso le nostre latitudini il lilium tigrinum, a sfumature rosa, gialle e piccole macchie nere ed il lilium regale, bianco con sfumature rosa oppure gialle.
Secondo la leggenda il giglio bianco nacque da una goccia di latte caduta a terra durante l'allattamento di Hera ad Ercole. In effetti, poiché Ercole era figlio del dio Zeus e della mortale Alkmene, Zeus pretese che Ercole fosse allattato dal petto di sua moglie, la dea Hera, per diventare immortale. Mentre lei dormiva, misero il bambino sul suo petto e, quando lo allattò, alcune gocce di latte finirono, nell' universo creando la Via Lattea, e le gocce che caddero in terra vennero chiamate giglio bianco.
Secondo la Bibbia, il giglio di Pasqua cresceva nel giardino del Getsemani, dove Giuda aveva tradito Gesù. Secondo la leggenda il giglio bianco, spuntò nel punto dove caddero le lacrime e il sudore di Gesù negli ultimi istanti della sua vita. Il giglio bianco è il simbolo di purezza della Beata Vergine Maria.
Secondo la leggenda, quando la tomba di Maria fu visitata tre giorni dopo il suo funerale, apparve un intero mazzo di magnifici gigli bianchi.
In un diverso contesto femminile, il giglio ha avuto un posto importante nel Paradiso di Adamo ed Eva. Secondo la leggenda, quando Eva lasciò il Giardino dell'Eden, versò lacrime di pentimento e da quelle lacrime di pentimento spuntarono i gigli.
I gigli erano i segni di protezione dei Cavalieri Templari.
Al giglio sono attribuiti significati ben precisi anche nell'interpretazione dei sogni. Sognare un giglio ha un significato diverso a seconda di chi è a fare il sogno, a seconda che si tratti di un uomo oppure di una donna, Per le donne il giglio sognato significa desiderio di purezza e castità. Indica in particolare anche la volontà di mantenersi casta fino al matrimonio. Per un uomo il giglio sognato è invece espressione del desiderio di appartenere per sempre alla propria amata ed a nessun'altra.

Il nome limonium deriva dal greco e significa prato, tale nome fu attribuito alla pianta perché probabilmente pur crescendo paludose ed acquitrinose le faceva sembrare con la sua nube di fiori rendeva i terreni simili a dei prati. Oltre a statice o limonio altri due nomi con cui è conosciuto volgarmente sono “rosmarino di palude” e “mare di lavanda“.

Viene comunemente utilizzato per la composizione di mazzi di fiori secchi. I suoi fiori, infatti, essiccati correttamente conservano il loro colore per molto tempo. 
Appartiene alla famiglia delle Plumbaginaceae. Il genere comprende numerose specie, la maggior parte delle quali si sviluppano in forma erbacea perenne.
E’ originario di una fascia di paesi che si estende dalle isole Canarie, passa per il mar Mediterraneo e giunge fino all’Asia centrale. In Italia è presente, allo stato spontaneo, soprattutto lungo il litorale adriatico.

Si tratta di una pianta con fusto legnoso, mediamente con poche foglie, di forma lanceolata, la cui grandezza varia a seconda della specie. Fiorisce da luglio a settembre ed i piccoli fiori, composti da cinque petali, sono riuniti in spighe unilaterali di colore azzurro, violetto o rosa raramente bianchi o gialli.

La maggior parte delle specie predilige i suoli ricchi di sale, per questa ragione l’habitat di crescita ideale è in prossimità delle coste marine, ci sono addirittura alcune specie, come il limonium bellidifolium, che crescono proprio sulle spiagge inondate periodicamente dalle maree.

Il motivo per il quale il limonium riesce a crescere in zone tanto impervie è dovuto alla sua capacità di espellere l’eccesso di sale attraverso le numerose cellule secretrici presenti sia nel fusto che nelle foglie.

Il lisianthus o eustoma, come si voglia chiamarlo, è una pianta relativamente giovane.
Questa pianta selvatica fu scoperta nel vicino XIX secolo negli Stati Uniti d'America ed in particolar modo in Nebraska e Louisiana. Trasportata poi nel 1805 nel Giardino di Glasgow, in Scozia, arrivò anche in Europa ma restò pressoché sconosciuta fino al 1902, anno in cui per la prima volta appaiono in un catalogo tedesco. Anche se bisognò aspettare i primi anni del 1990 per poter vedere i fiori di eustoma negli scaffali dei fioristi francesi, è in Francia che spopoleranno poi negli anni seguenti diventando uno dei fiori più popolari. 
La coltivazione commerciale di queste pianta a scopo ornamentale è iniziata solo a partire dagli anni ottanta.
Il nome del genere deriva dal greco eu” (bene) e “stoma” (bocca), per i petali disposti in maniera che chiudono e rendono bello il fiore.
L’eustoma è una pianta erbacea perenne che ha origini dall’America meridionale e dalle isole caraibiche, appartiene alla famiglia delle Gentianacee ed è composta da delle foglie ampie e basali di colore verde-bluastro, che danno un tono decorativo all’ambiente. All'estremità dello stelo troviamo i boccioli che, quando sbocceranno, diventeranno fiori con una forma a campanula. 
La eustoma grandiflorum, chiamata anche lisianthus russellianus, è una pianta originaria del Messico e dell'America del sud. Presenta fiori particolarmente attraenti e per questa ragione trova largo impiego come fiore reciso.
E' una pianta delicata e pertanto deve essere allevata in vaso, non in piena terra.
E' sicuramente la specie più popolare anche perché esistono numerose cultivars ricche di petali o con pochi petali ma molto colorati o con screziature molto particolari.
I paesi dove questi fiori sono maggiormente coltivati e dove si svolge anche una intensa attività ricerca sono la Nuova Zelanda ed il Giappone.

Un’antica leggenda indiana racconta che una volta il cielo era abitato da tanti soli. Ma un giorno si fecero la guerra e tutti, tranne uno, caddero in mare e non brillarono più. Anche il più piccolo, quello che era appena nato, fu ucciso. Il mare però, ebbe pietà di lui, gli diede una nuova vita e lasciò che ogni notte risorgesse per vivere tra le stelle. E’ appena visibile, come l’astro più piccolo, ma i raggi che emana hanno l’intensa dolcezza del suo desiderio di vivere. Anche la terra sentì amore per lui e dedicò un fiore: il fiore di loto.
Quando il giorno risplende, il loto nasconde il suo fragile volto al sole, troppo caldo e violento per la sua leggerezza ed attende che nella notte quel piccolo sole, appena visibile in cielo, illumini con il suo desiderio la terra. Allora si solleva a quella tenera carezza di luce e si apre come la più vera promessa d’amore per quel sole che era morto ed è rinato.

Chiunque abbia mai osservato un fiore di loto che emerge da uno stagno torbido, non può non aver notato la bellezza di questa meravigliosa pianta. Il candore del fiore viene messo ancora più in evidenza dall’acqua stessa: proprio per questo il fiore di loto è associato alla purezza ed alla bellezza rispettivamente nelle religioni del buddismo e dell’induismo.
Questa pianta era associata alla rinascita, visto che si chiude di notte ed emerge al sole di giorno. Per questo motivo, il fiore di loto veniva collegato al sole ed alla creazione: non a caso in molti geroglifici è raffigurato mentre emerge dalla “nun (l’acqua primordiale), da cui emerse anche il dio Sole.
Essendo associato alla rinascita, non stupisce che il fiore di loto fosse collegato anche alla morte: il famoso libro egiziano dei morti include incantesimi che sono in grado di trasformare una persona in loto, consentendone così la resurrezione. Nel buddhismo il fiore di loto è noto per essere associato alla purezza, al risveglio spirituale ed alla fedeltà. È considerato un fiore puro in quanto è in grado di nascere perfettamente pulito dalle acque torbide.
Nell’induismo il fiore di loto ha un significato associato alla bellezza, alla fertilità, alla prosperità, alla spiritualità ed all’eternità. La tipologia più comune nelll'induismo è quella bianca.

La magnolia è una pianta sempreverde di origini preistoriche che in natura si trova in svariati continenti, dall’America all’Asia e che viene importata in Europa intorno al 1740. Il suo nome prende origine dal botanico Pierre Magnol.
Narra una leggenda che in tempi lontani esisteva una magnolia sola, all'esterno si presentava alta, forte, con pochi fiori e molte foglie verdi sui rami alti e concedeva la vista delle sue corolle ed il profumo dei suoi petali al vento. All'interno del tronco si presentava come una magnolia stellata, con tantissimi fiori bianchi anch'essi profumati. La magnolia alta era il corpo, la magnolia stellata era il cuore. Fiorivano insieme l'una nell'altra tutto l'anno dando serenità all'intero giardino.
Poi un giorno di pioggia l'albero fu appena sfiorato da un'azalea gialla pastello che gli era cresciuta al fianco. Anche a lei l'albero di magnolia offrì il profumo dei fiori dei suoi rami alti, la sicurezza delle sue grandi foglie verdi e la dolcezza delle stelle bianche del suo cuore. Ma la magnolia non si accorse che l'azalea gialla pastello lo aveva sfiorato solo per caso, perché spinta dal vento e che non esisteva una direzione particolare dei suoi fiori. La magnolia confuse il soffio del vento con il respiro dell'azalea e cadde nell'incantesimo e sempre di più il suo cuore stellato spingeva il suo corpo forte a voltare i fiori profumati dalla parte dell'azalea gialla pastello, finché si ruppe e ci furono due alberi: la magnolia alta che tendeva i suoi rari fiori sui rami ricoperti di foglie verdi per mostrare la sua forza, ma solo in estate, perché così era la vita, e la magnolia stellata che apriva senza foglie i suoi fiori bianchi per mostrare il suo fragile cuore senza speranza, ma solo in primavera, perché così era l'amore. Da quel giorno noi vediamo nei parchi e nei giardini i due alberi di magnolia divisi come due parti di uno stesso corpo, bellissime e profumate, ma che vivono in stagioni diverse come se l'altra parte non esistesse perché la vita era stata staccata dall'amore. L'azalea gialla pastello girò tutto il parco ma in un giorno di pioggia sentì la nostalgia di quell'albero di magnolia di cui aveva annusato i due profumi, quello della forza e quello del cuore e chiese al vento di farle sfiorare di nuovo i due alberi ora separati e da allora nei parchi e nei giardini ci saranno altre due piante sempre a coppie: una magnolia con due profumi ed una azalea gialla pastello.

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