Il nome generico “leucanthemum” deriva da due parole greche “leukos”, che significa bianco ed “anthemon”, che significa fiore, per il colore dei fiori ligulati simili a petali.
L’origine della margherita risale a più di quattromila anni fa. Sono stati ritrovati reperti di antiche ceramiche così decorate in Egitto e nel Medio Oriente, oltre a forcine d'oro per capelli con questi ornamenti negli scavi del palazzo minoico sull'isola di Creta.
In una leggenda celtica, gli dei avevano sparso a terra le margherite, simbolo di innocenza, per alleviare il dolore ai genitori dei bambini morti durante il parto.
Nel Medio Evo, gli agricoltori inglesi sostenevano che la bella stagione non era ancora arrivata finché non era possibile posare il piede su sette (o nove o dodici) margherite fiorite in un colpo solo nel prato.
Inoltre credevano che trapiantare quelle selvatiche in un giardino coltivato portasse sfortuna e che una ragazza avrebbe potuto sapere per quanti anni doveva ancora aspettare di sposarsi contando quanti di questi fiori erano rimasti in una manciata strappata ad occhi chiusi.
I cavalieri innamorati partivano in battaglia con addosso una margherita e le loro amate li attendevano disegnando questo fiore. Dopo avere ricevuto una proposta d’amore, era tradizione che la fanciulla rispondeva in modo affermativo ponendo una ghirlanda di margherite sul capo.
Secondo un racconto cristiano, invece, i Re Magi in viaggio capirono di aver trovato dove si trovava la Sacra Famiglia di Gesù neonato quando, dopo aver chiesto un segno in aiuto, notarono improvvisamente moltissime piccole margherite bianche nei pressi di una stalla e ne riconobbero la somiglianza con la stella cometa che li aveva condotti a Betlemme.
Le margherite sembrano avere facoltà profetiche. Da secoli gli innamorati la sfogliano per sapere se il loro amore è ricambiato ed è il simbolo della semplicità, freschezza e purezza.
C’era una volta un popolo forte e coraggioso la cui caratteristica peculiare era il colore dei capelli . Esso, a differenza di quello degli abitanti delle altre isole vicine, era del colore del sole. I tempi erano difficili e, spesso, proprio mentre gli uomini del villaggio erano in mare per la pesca e per i loro commerci, l’isola di Rainhor veniva invasa e depredata dalle tribù nemiche. E molto ambite erano le giovani donne dell’isola.
In uno di quei tristi giorni anche la dolce e bellissima Mihm, figlia del capo villaggio, cadde nella trappola tesale da un re nemico e venne rapita, insieme ad altre compagne, per far parte delle sue schiave.
Il fitto dedalo di scogli dell'arcipelago e l'ostilità dei luoghi, fornivano a quei malvagi un nascondiglio perfetto. La grotta, dove erano state rinchiuse in attesa del loro triste destino, era accessibile solo dal mare, ma aveva un unico condotto d’aria, che aprendosi sulla volta della grotta, sbucava sulla sommità di una collinetta brulla a picco sugli scogli.
La giovane Mimh, forte nella sua agilità, decise che avrebbe dovuto fare qualcosa per salvare se stessa e le sue compagne. Fu così che chiese alle compagne di essere issata sulle loro spalle per potersi infilare nello stretto cunicolo e cercare aiuto dall’alto della collina. Con grande sforzo la ragazza riuscì a raggiungere l’apertura collegata all’esterno e con abilità e determinazione si infilò fra le rocce , incurante dei graffi che la roccia le procurava nel tentativo di raggiungere l’esterno. Da lontano vide le veloci barche della sua gente ma la sua testa affiorante dalla collinetta non poteva essere notata da così lontano! Allora, consapevole della sua fine ormai prossima, si sciolse le trecce e i suoi lunghi capelli biondi cominciarono a muoversi nel vento come una bandiera. Era il segno, l’ indicazione che gli uomini stavano ardentemente cercando. Le compagne di Mimh furono liberate, ma la coraggiosa ragazza morì soffocata dal suo stesso ardimento e quello stretto cunicolo divenne la sua stessa tomba . Quando il suo promesso sposo si recò sulla collina per onorare il corpo della sua sfortunata sposa con una degna sepoltura, trovò al posto di Mihm una pianta dalle radici profonde e fortissime, e una grande chioma di fiori d’oro che si muovono al vento: Era la mimosa.
Molte leggende si narrano intorno a questo fiore delicato.
- “L’usignolo innamorato”: Un giovane usignolo s’innamorò perdutamente di una rondinella. Ogni giorno le dichiarava il suo amore: un canto melodioso risuonava nell’aria intorno alla casa del bosco dove le rondini avevano costruito il nido sotto il tetto. Gli dei, estasiati, si sporgevano dalle nuvole e le fate del bosco dagli alberi per ascoltarlo.
La rondinella, pure, l’ascoltava, ma amava tagliare di più l’aria con le sue ali. Col passare dei giorni il dolcissimo canto si venò di tristezza, sempre più profonda tanto da commuovere la fata più giovane che fece innamorare la rondinella dell’usignolo. Il canto d’amore riprese ad incantare ed a far sognare fate, dei, animali, uomini, tutti quelli che l’ascoltavano.
La gioia dei due innamorati, però, durò poco: per la rondinella giunse il tempo della partenza per i paesi più caldi. La rondinella promise al suo amato di tornare e gli diede alcune piume bianche, quale pegno del suo amore, che la fata trasformò in bellissimi fiori bianchi: mughetti.
«Quando il primo fiore fiorirà io tornerò» disse la rondinella.
Ecco perché gli usignoli, a primavera, aspettano la fioritura del primo mughetto nel bosco per celebrare il loro amore.
- “La civetteria del mughetto”: In un giorno di allegria, le fate del bosco uscirono dalle loro case segrete per dare vita a una bellissima festa fra gli alberi. Cantarono e ballarono spensierate, ma prese dal vortice della festa avevano abbandonato tra l'erba le tazze che usavano per bere nel ruscello.
Il giorno dopo le ritrovarono trasformate in profumatissimi fiori: Il loro Nume aveva pensato bene di nasconderle a sguardi indiscreti.
Per questo i mughetti vengono chiamati anche “tazzine delle fate”.
Il mughetto è sinonimo di felicità e portafortuna.
La mitologia greca ci tramanda che Narciso, figlio del dio delle acque Cefiso e la ninfa Liriope, era un giovane bellissimo. Liriope, per salvaguardare la bellezza del giovane, si recò dall'astrologo Tiresia che, dopo aver consultato l'oracolo, le disse: « Narciso vivrà a lungo e la sua bellezza non si offuscherà. Ma il giovinetto non dovrà più vedere il suo volto».
La profezia di Tiresia si avverò: Narciso restò per sempre adolescente, mantenendo intatta la sua bellezza che svegliava i più teneri sentimenti nelle ninfe che l'avvicinavano. Ma lo splendido ragazzo sfuggiva il mondo e l'amore, preferendo trascorrere il tempo passeggiando da solo nelle foreste sul suo cavallo oppure andando a caccia di animali selvatici.
Un giorno, mentre cacciava, sentì rimbalzare tra le gole della montagna una voce che si esprimeva in canti e risate.
Era Eco, la più incantevole e spensierata ninfa della montagna che, al solo vederlo, s'innamorò perdutamente di lui.
Ma Narciso era tanto fiero e superbo della propria bellezza, che gli pareva cosa di poco conto occuparsi di una semplice ninfa. Non così era per Eco, consumata dall’amore e dal dolore: a poco a poco il sangue le si sciolse nelle vene, il viso le divenne bianco ed il corpo della splendida fanciulla divenne trasparente al punto che non proiettava più ombra sul suolo.
Affranta dal dolore si rinchiuse in una caverna profonda ai piedi della montagna, dove Narciso era solito andare a cacciare. E lì con la sua bella voce armoniosa continuò ad invocare per giorni e notti il suo amato. Inutilmente, perché Narciso, che pur udiva l'angoscioso richiamo, non venne mai e continuò la sua vita appartata. Fu allora che intervennero gli dei per punire tanta ingratitudine. Un giorno, mentre il superbo giovinetto si bagnava in un fiume, vide per la prima volta riflessa nell'acqua limpida l'immagine del suo viso. Se ne innamorò perdutamente e per questa ragione tornava di continuo sulle rive del fiume ad ammirare quella fredda figura. Ma ogni volta che tendeva la mano nel tentativo di afferrarla, la superficie dell'acqua s'increspava, ondeggiava e l'immagine spariva. Una mattina, per vederla meglio, si sporse di più e di più finché perse l'equilibrio cadendo nelle acque, che si rinchiusero per sempre sopra di lui.
Il suo corpo fu trasformato in un fiore di colore giallo dall'intenso profumo, che prese il nome di Narciso.
“Non ti scordar di me”, una frase che non indica soltanto un'espressione scambiata tra innamorati, un messaggio d'amore, una speranza o una rimembranza: stiamo parlando di un fiore bellissimo, altresì soprannominato “occhi della Madonna”. Come intuibile, il fiore del non ti scordar di me è da tempi lontanissimi al centro di atmosfere romantiche e sognanti, nel corso degli anni, per la fragilità del fiore, associata alla sua colorazione tenue ed alla bellezza delicata, sull'origine del non ti scordar di me sono fiorite numerosissime leggende.
La particolarissima perifrasi con cui viene ricordato questo fiore sembra essere legata ad un'antica storia: la leggenda narra che in una cittadina austriaca, lungo il fiume Danubio, due giovani innamorati si stavano promettendo amore eterno, scambiandosi questo fiore come simbolo della loro unione. In quel mentre, il ragazzo scivolò nelle acque del fiume e, prima di annegare, riuscì a lanciare un mazzo floreale all'amata gridando «Non ti scordar di me!».
Una romantica leggenda medievale racconta di un cavaliere che stava passeggiando sulla riva di un fiume, in Germania, accanto alla sua dama. Mentre si chinava per raccogliere alcuni di questi fiori cadde in acqua per il peso dell'armatura e venne risucchiato dalla corrente. Prima di sparire tra le rapide fece in tempo a lanciare il mazzolino all'amata e a gridarle: «Non ti scordar di me!».
Come abbiamo accennato, ilnon ti scordar di meè conosciuto anche con l'espressione “occhi della Madonna”: l'origine di questo aforisma risale al tempo di Cristo il quale, in braccio alla Madonna, desiderò che i suoi occhi potessero essere visti per generazioni e generazioni. Toccando dapprima gli occhi e, successivamente, il terreno nacque questo fiore.
In un’altra versione, il fiorellino gridò: «Non ti scordar di me!» ad Adamo ed Eva, che stavano lasciando il Giardino dell’Eden, dopo essere stati cacciati.
Il termine scientifico “myosotis” deriva dalle due parole greche “mus” (topo) e “otos” (orecchio); in effetti, la forma delle foglie è simile alle orecchie di questo roditore.
Pare sia stato il francese Philibert de Commerson nel 1771 a dare il nome alla pianta, in onore della principessa Hortense de Nassau.
Il nome ortensia ha origine latina, significa “che cura gli orti ed i giardini” ed è anche un soprannome di Venere.
Il nome botanico invece, hidrangea, deriva dalla figura mitologica di Hidra, ma l'opinione più condivisa è la derivazione dalle parole greche “hidros” (acqua) ed “angeion” (vaso).
E' una pianta antichissima, tanto che si sono trovate tracce fossili. Venne introdotta nei paesi europei intorno al 1700.
In Giappone, invece, la presenza e la popolarità dell'ortensia era già notevole durante il XVII secolo. E' originaria dell'Asia, dell'America centrale e meridionale. Un tempo nei paesi orientali, era usanza ornare i piatti di cibo con vari tipi di fiori per dare profumo e delicatezza alle pietanze. Ora, questa abitudine è diventata una nuova tendenza nella nostra cucina, però bisogna fare molta attenzione con alcune piante come l'ortensia, perché risultano tossiche se viene ingerito il fiore o la foglia. Insieme al geranio, l'azalea ed il rododendro, l'ortensia si è rivelata un ottimo catalizzatore naturale dei metalli pesanti (perché contiene cisteina), dispersi nell'atmosfera dal gas di scarico dei motori e dalle industrie ed è così in grado di fissare sul fiore o sulla foglia metalli quali piombo, cromo, zinco, nichel, dispersi in forma ionica nell'aria, determinando il fenomeno detto di bioaccumulo. Per questa caratteristica tali organismi possono essere impiegati, con discreto successo, anche nel risanamento ambientale in quanto capaci di assorbire e rendere innocue sostanze tossiche. Alcune tecniche per la valutazione della qualità ambientale utilizzano questo meccanismo presente negli esseri viventi, nel nostro caso le piante superiori, anche per studiare e monitorare il fenomeno dell'inquinamento, una vera catastrofe del nostro tempo. Tali ricerche sono condotte dall'Istituto di Genetica dell'Università di Parma.
L'ortensia è simbolo di freddezza e capriccio. E' un fiore molto decorativo, ne esistono numerose varietà, quasi tutte create in Giappone.
E’ una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Papaveracee. Fragile e delicato, il papavero raggiunge generalmente un'altezza compresa tra i sessanta e gli ottanta centimetri.
La parola papavero potrebbe aver avuto origine dal sanscrito “papa” (cattivo) e “vira” (succo), da cui deriverebbe un termine con significato di “succo pernicioso”.
In alcuni scritti del poeta Teocrito si trovano alcuni ricordi del rapporto tra i culti arcaici e Demetra: per i greci Demetra era ancora la dea dei papaveri e nelle mani reggeva fasci di grano e papaveri. A Gazi, sull'isola di Creta, venne rinvenuta una statuetta significativa: la dea del papavero, adorata nella cultura minoica, è rappresentata con un diadema recante i baccelli del papavero (allo stesso tempo fonte di nutrimento e simbolo dell'oblio). Probabilmente i culti della dea madre, conosciuta con i nomi di Rea e Demetra, importarono da Creta oltre al culto, anche l'uso del papavero (è provato l'uso di oppio preparato con il fiore durante i riti celebrati sull'isola greca).
Se si considera la cultura romana, il fiore rosso resta centro misterioso dell'oscuro oblio sognante.
Una leggenda narra che Sesto, figlio di Tarquinio re di Roma, mandò un uomo fidato per avere consiglio dal padre su come ottenere vittoria. A questo messaggio il re non rispose nulla a voce ma passeggiando attraverso il giardino di casa tagliò silenziosamente le teste più alte di alcuni papaveri. Si dice che Sesto comprese immediatamente quale fosse il reale messaggio del padre. Da qui il significato metaforico di “personaggi importanti” per “alti papaveri” si diffuse nella cultura europea. I papaveri sono da sempre associati, per il colore rosso intenso, al sangue e, quindi, alle guerre. Le leggende hanno inizio addirittura con Gengis Khan, il leggendario imperatore mongolo. Si narra che il condottiero portasse con sé semi di papavero da spargere sui campi di battaglia dopo le vittorie. Un modo per ricordare coloro che erano caduti e, allo stesso tempo, segnare per sempre con il colore rosso il ricordo della guerra. Nel mondo anglosassone il papavero comune è tradizionalmente associato alle vittime della prima e della seconda guerra mondiale.
Unico fiore ad essere coltivato nell'Olimpo secondo miti e leggende, oggetto di passione da più di 3000 anni, la peonia è ancora protagonista nei giardini del terzo millennio. Il fascino dei suoi fiori enormi e di sublime bellezza non è minimamente scalfito dal passare del tempo e dal mutare delle mode.
Sarà anche perché le peonie sono disponibili in una varietà tale di forme e colori da trovare posto in qualsiasi situazione, dalle romantiche varietà rosa pastello da giardino dell'Ottocento, agli sgargianti fiori gialli o rosso fuoco dei nuovi ibridi orientali, dalle semplici peonie a fiore piatto a quelle sovraccariche a fiore doppio, dalle erbacee a stelo lungo alle arbustive che si fanno ammirare anche per il portamento dei rami e del fogliame.
In Oriente, dove ha avuto i natali, la peonia è associata all'immortalità, ma i suoi fiori, al contrario, sono il massimo della fugacità: chi vuole godere della sua seducente fioritura dovrà accontentarsi di ammirarla per poche settimane, perché non è rifiorente. Ma in quel breve periodo, ben poche specie possono competere con lei in bellezza e sontuosità.
Già molti secoli prima di Cristo, nella Cina imperiale, la peonia era amata maniacalmente dall'imperatore, che la faceva raffigurare sulle preziose porcellane dell'epoca e pagava una fortuna a chiunque presentasse una nuova varietà.
Ancora oggi in Cina la peonia è considerata “regina dei fiori”.
In Occidente, le peonie sono conosciute fin dall'antichità, ma soprattutto per le loro virtù medicinali: fu Teofrasto a parlarne per primo, non per la bellezza dei fiori, ma come eccellente rimedio contro l'epilessia. Si tratta in questo caso di peonie erbacee: quelle arbustive sono sbarcate per la prima volta in Europa nella seconda metà del '700.
Tre sono le leggende antiche sulla peonia: Asclepio, geloso del suo allievo, tentò di ucciderlo e Zeus per salvarlo lo trasformò nella pianta della peonia; in un'altra leggenda si dice che la peonia sia nata nel luogo in cui Diana pianse per la morte che lei stessa aveva dato a Orione; infine, una leggenda cinese narra delle ninfe che usavano petali di peonia per nascondersi.
L’albero di pesco è originario della Cina, dove lo si può ritrovare ancora allo stato selvatico. Gli splendidi fiori che produce questo albero sono stati oggetto di poesie, canzoni e quadri celebri.
La sua storia è molto antica, addirittura nell’antico Egitto era una pianta che produceva frutti sacri ad Aprpocrate il dio del silenzio e dei bambini, ma fu grazie ad Alessandro Magno che nel I secolo d.C. arrivò a Roma, l’imperatore se ne innamorò, per lo splendore dei colori dei suoi fiori e per la bontà dei suoi frutti, quando lo vide per la prima volta in Persia. Per la produzione, il primato va agli Stati Uniti, seguiti dall'Italia, Spagna, Grecia, Cina e Francia. In Italia i primi pescheti risalgono agli inizi dell'ottocento.
Un’antica leggenda narra che il nome della pianta derivi da “pescare“, questo perché sembra che un pescatore, il quale dopo aver tirato a riva con fatica un grosso pesce, trovò nel suo ventre uno strano e grosso nocciolo, incuriosito decise di piantarlo dinanzi la sua capanna, dopo qualche mese nacque un alberello che nei mesi primaverili si vestì di graziosi fiori dalle sfumature rosee. Il primo frutto che ne derivò fu chiamato pesca, in omaggio della sua provenienza.
Nella mitologia cinese il pesco è il simbolo dell’immortalità, perché, in Cina, si crede che nutrendosi del frutto di questo albero, questo preservi il corpo dalla corruzione.
La tradizione è così diffusa che si vuole che gli immortali taoisti si nutrivano di pesche oppure di fiori di pesco.
Shoi Xing è il dio della longevità e della salute. Originariamente era un saggio che, mangiando delle pesche magiche, ottenne l’immortalità. Viene raffigurato come un vecchio, con la testa che richiama la forma di una pesca, calvo e con una lunga barba, con in mano una pesca.
Le credenze non tralasciano nemmeno il legno della pianta di pesco, questo, lavorato in forma di spada, è usato dai monaci per effettuare gli esorcismi e gli oggetti d’arredo scolpiti in legno di pesco, oltre alla funzione decorativa, assumono una funzione di protezione della famiglia, della casa, dai pericoli della vita e dai fantasmi.
La petunia è una pianta erbacea appartiene alla famiglia delle Solanaceae. Il nome petunia deriva dal portoghese “petun” che significa tabacco, per la somiglianza tra queste due piante, appartenenti alla stessa famiglia.
E’ originaria dell’America del sud, in particolare del Brasile, dove cresce spontaneamente. E’ arrivata in Europa portata dai botanici che esploravano le foreste alla ricerca di specie sconosciute. In Italia è molto diffusa ed è una delle piante più scelte per abbellire balconi, giardini, appartamenti, grazie alla sua abbondante fioritura.
Il genere petunia comprende circa 40 specie di piante annuali e perenni che, però, nel nostro Paese vengono coltivate come piante annuali, dal momento che esse non resistono al freddo. Le petunie formano ampi cespugli alti dai 25 ai 60 centimetri, con dei fusti ramosi e leggermente vischiosi, che hanno spesso un portamento ricadente. Hanno foglie molto profumate ed appiccicose, ovali ed intere con tre nervature, di colore verde chiaro, ricoperte di peluria. I fiori sono molto numerosi, sono imbutiformi e di tanti colori differenti: bianchi, rossi, blu, viola, rosa, lilla, possono essere di un unico colore (monocromi) o screziati. La parte inferiore della corolla è quasi dritta, mentre la parte superiore è larga ed è costituita da cinque lobi.
Proprio alla sua imponente fioritura si fa in genere risalire il significato di questa pianta: la petunia è infatti il simbolo dell’amore che non può essere nascosto!
In età medievale le petunie rientravano tra le varietà di fiori utilizzati per abbellire gli Eden dedicati alla Madonna, giardini realizzati per invitare alla preghiera e alla contemplazione.
In passato però, nell’Inghilterra vittoriana, i colori accesi dei fiori della petunia e la sua fioritura erano idealmente legate a uno scoppio di collera.
La sua lunga fioritura è stata in passato anche associata al rancore serbato da chi dona la pianta nei confronti di chi la riceve.
Questi significati negativi sono stati tuttavia scalzati dal più positivo di tutti ed ora la petunia viene proprio associata all’amore.